Risorse Umane

Comunicare il rischio: cosa ci ha insegnato la pandemia da Covid-19?

Comunicare il rischio: cosa ci ha insegnato la pandemia da Covid-19?

Nel periodo di pandemia da Covid-19 uno dei problemi maggiormente sentiti all’interno delle organizzazioni ha riguardato le modalità con cui dovevano essere comunicate ai dipendenti le misure di prevenzione e di protezione da adottare quotidianamente per evitare il contagio e la diffusione del virus.
da un lato vi era l’esigenza di non seminare il panico, mentre dall’altro si trattava di imporre con rigore il rispetto di tali misure, muovendosi in un contesto di totale incertezza, tra paure, percezioni diverse del rischio, credenze e approcci personali molto variegati rispetto al problema.

Cosa abbiamo imparato e cosa ci resta di questa esperienza è il tema di questo interessante approfondimento di Alessia Avietti* e Angela Maria Caddeo**

Introduzione

È ormai noto come il tema della prevenzione e della sicurezza sul lavoro abbia molto a che fare con l’approccio psicologico e l’atteggiamento individuale verso il rischio, certamente non disgiunti dalle misure organizzative, tecniche ed ergonomiche adottate da ciascuna organizzazione.
Non a caso, questi due aspetti, strettamente intrecciati, sono anche stati alla base delle scelte operate sia dalle organizzazioni sia dalle singole persone, nella propria sfera privata, per prevenire e gestire il rischio di contagio da Covid-19.
Guardando al mondo organizzativo, rileviamo infatti come, accanto all’adozione di misure strutturali e alla fornitura dei dispositivi di protezione individuale, vi sia la soggettiva aderenza alle prescrizioni e alle raccomandazioni da parte dei lavoratori quali la frequente igienizzazione delle mani o il mantenimento della distanza interpersonale minima di sicurezza, ad esempio lungo il tragitto casa–lavoro o alla macchinetta del caffè.

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Recepita la Convenzione ILO 190 contro violenza e molestie sul lavoro

Recepita la Convenzione ILO 190 contro violenza e molestie sul lavoro

In questo approfondimento Laura Barnaba* presenta la recente legge n. 4 del 2021, con la quale l’Italia recepisce la Convenzione sulla violenza e sulle molestie dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO).

La legge 4/2021

Mentre tutta l’attenzione dei mass media era rivolta alla crisi politica, un po’ in sordina è arrivata la legge di ratifica della Convenzione sulla violenza e sulle molestie approvata dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) il 21 giugno 2019.
Si tratta della legge n.4 del 15 gennaio 2021, pubblicata sulla G.U. del 26 gennaio 2021 e in vigore dal giorno successivo (ma gli effetti si avranno non prima del 2022).

L’iter era iniziato il 23 ottobre 2019 alla Camera dei Deputati su iniziativa delle onorevoli Laura Boldrini e Romina Mura. Previ passaggi nelle Commissioni, l’approvazione è avvenuta il 23 settembre 2020 alla Camera e il 12 gennaio scorso al Senato, in entrambi i casi con un appoggio trasversale dalle varie forze politiche.
Ora il Presidente della Repubblica comunicherà all’ILO la ratifica e a un anno dalla registrazione da parte dell’ILO la convenzione sarà effettivamente in vigore per il nostro Paese.

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Disabilità e inclusione lavorativa: stato dell’arte e prospettive

Disabilità e inclusione lavorativa: stato dell’arte e prospettive

La pandemia dovuta al Covid-19 ha evidenziato numerose criticità nel far fronte all’emergenza. Alcuni temi, già al centro dell’attenzione per la loro entità, si sono ulteriormente aggravati. Tra questi vi è, sicuramente, quello dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità.

Torniamo su questo importante tema con un approfondimento di carattere giuridico curato da Marco Pronello*, consulente in diversity e disability management che, nello specifico, presenta lo stato dell’arte dell’inclusione lavorativa delle persone disabili a vent’anni dall’emanazione della Direttiva Europea 2000/78.

E’ possibile scaricare il lavoro nella versione integrale.

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Etica in azienda: azioni, programmi ed efficacia

Etica in azienda: azioni, programmi ed efficacia

Da ormai diversi anni le imprese tendono a mostrare sempre più attenzione verso gli aspetti etici del business. Questo si collega, in parte, alla sempre maggiore attenzione posta da un lato ai clienti e dall’altro ai dipendenti. In un contesto di grande incertezza, nel quale anche i valori e i principi generali non sono ben definiti, adottare degli standard e ottenere il loro pieno riconoscimento all’interno di un’organizzazione risulta particolarmente impegnativo.
Una delle misure più diffuse per promuovere comportamenti corretti è la definizione di codici etici e di condotta, costituiti da un unico documento nel quale vengono indicati sia i valori cui si ispira l’azienda sia le regole di comportamento cui i dipendenti sono obbligati ad attenersi, solitamente consegnato al dipendente al momento dell’assunzione e/o affisso sulle pareti degli uffici o spazi comuni.
E’ ampiamente dimostrato che questo non è sufficiente per promuovere comportamenti etici, piuttosto risulta spesso inutile e, comunque, riduttivo rispetto al significato che l’etica può assumere in riferimento alla cultura, al clima, all’immagine e alla performance.

Approfondiamo meglio gli effetti dell’etica, definendo alcune pratiche aziendali e facendo riferimento ai comportamenti dei leader e al linguaggio dei codici di condotta.

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L’Autismo non e un errore di sistema, è un altro sistema operativo: Il modello Auticon.

L’Autismo non e un errore di sistema, è un altro sistema operativo: Il modello Auticon.

A livello globale, grazie anche alla concomitanza di alcuni fattori come l’evoluzione delle ICT e le ricadute che queste comportano sul piano occupazionale, è in costante crescita l’attenzione verso l’inclusione lavorativa, anche in riferimento a quei lavoratori per i quali fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile trovare degli impieghi compatibili con le loro esigenze e pienamente rispondenti alle…

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Politiche aziendali di diversity management per le persone LGBTI: a che punto siamo?

Politiche aziendali di diversity management per le persone LGBTI: a che punto siamo?

Il report annuale di ILGA-Europe – la più importante associazione che difende i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali (LGBTI) in Europa – illustra in dettaglio la situazione dei diritti umani delle persone LGBTI nei 49 Paesi europei e in 5 Paesi dell’Asia Centrale.
L’edizione 2020 del rapporto sottolinea numerosi ostacoli nell’accesso all’assistenza sanitaria, la mancanza di servizi adeguati, la presenza di fenomeni di bullismo nelle scuole e nei contesti lavorativi, a cui si affianca spesso l’assenza di interventi governativi, nonchè una visione superficiale della situazione che vedrebbe i diritti e l’uguaglianza per le persone LGBTI pienamente garantiti.
In concreto, l’attuale condizione di vita delle persone LGBTI è sempre più difficile in Europa, molto spesso poco o per niente nota o ritenuta meritevole di attenzione.

A ciò si aggiunge il fatto che i diritti delle persone LGBTI non sono tutelati in modo uniforme in tutta l’UE, in quanto non dispone ancora di una protezione generale contro le discriminazioni basate sull’identità di genere, sull’orientamento sessuale o sulle caratteristiche sessuali.

La situazione in Italia

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Razzismo al lavoro: un problema che parte da lontano

Razzismo al lavoro: un problema che parte da lontano

Il caso George Floyd ha riacceso i riflettori sul razzismo, un problema che negli States non è mai stato risolto e che, grazie anche al movimento “Black lives matter”, ha ricevuto attenzione in tutto il mondo.
Diverse testimonianze (come questa) evidenziano che anche professionisti inseriti in contesti lavorativi ritenuti in assoluto tra i più innovativi, come la Silicon Valley, denunciano discriminazioni e/o indifferenza nei confronti di atti di razzismo, vivendo tali situazioni in modo frustrante e del tutto alienante.

Sembra sempre più evidente che parlare di inclusione delle persone di colore e, in generale, di tutte le minoranze, non sia più sufficiente, ma serve, in tutti i contesti e ai vari livelli, passare all’azione.

Qual è il ruolo delle imprese rispetto a questi problemi? Cosa fanno quelle più virtuose e cosa dovrebbero fare le altre quando si verificano eventi sulle diversità con un forte impatto mediatico come negli USA in questo periodo? Per rispondere a queste domande Harvard Business Review ha messo a disposizione una serie di articoli, con indicazioni pratiche per i manager e i leader, attraverso cui si gioca il futuro di questa importantissima sfida.
Vediamo nel dettaglio alcune tra le indicazioni che ci sembrano più incisive.

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Il disability management ai tempi del Covid-19

Il disability management ai tempi del Covid-19

Con l’emergenza sanitaria legata alla diffusione del covid-19 diversi organismi internazionali, come l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e l’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro), si sono attivate per evidenziare i gravi rischi di una maggiore esposizione agli effetti negativi, sia diretti che indiretti, delle fascie più deboli delle popolazioni, tra cui le persone con disabilità.
In particolare, nella fase 1 dell’emergenza sono stati rilevati fattori come la difficoltà ad accedere alle informazioni (per esempio per le persone con disabilità sensoriali) o all’assistenza domiciliare per esigenze basilari (come fare la spesa), la carenza di un adeguato supporto telematico, le difficoltà di attivare in modo efficace ed efficiente lo smart working.

Alcune indicazioni pratiche per le imprese

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Covid-19 e smart working: nuove prospettive nella gestione delle risorse umane

Covid-19 e smart working: nuove prospettive nella gestione delle risorse umane

L’emergenza sanitaria attuale comporta dei cambiamenti radicali nelle modalità di lavoro, accelerando l’adozione di alcune nuove pratiche, in piccola parte già esistenti, come lo smart working. Ma cosa ci aspetta dopo il Covid-19? Come le organizzazioni possono affrontare questa fase di transizione che acquista ancora più importanza in prospettiva diversity management? Ne parlano in questo approfondimento Alessia Avietti* e Angela M. Caddeo**, entrambe psicologhe del lavoro ed esperte sui temi HR.

Introduzione

Il Politecnico di Milano, attraverso il suo Osservatorio Smart Working, definisce questa prassi lavorativa una

nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati

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Immigrati e lavoro: strategie di diversity management

Immigrati e lavoro: strategie di diversity management

Secondo il IX Rapporto annuale 2019 “Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia”, realizzato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in collaborazione con INPS, INAIL, Unioncamere e Anpal Servizi, la popolazione straniera residente in Europa al 1° gennaio 2018 si concentra prevalentemente in cinque Paesi: Germania (9,679 milioni, 11,7% della popolazione), Regno Unito (6,286 milioni, 9,5%), Italia (5,144 milioni, 8,5%), Francia (4,687 milioni, 7%) e Spagna (4,563 milioni, 9,8%).

Vediamo meglio come funziona l’inserimento sociale e, soprattutto, quello lavorativo di questa porzione della popolazione.

Situazione in Italia

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