Nel periodo di pandemia da Covid-19 uno dei problemi maggiormente sentiti all’interno delle organizzazioni ha riguardato le modalità con cui dovevano essere comunicate ai dipendenti le misure di prevenzione e di protezione da adottare quotidianamente per evitare il contagio e la diffusione del virus.
da un lato vi era l’esigenza di non seminare il panico, mentre dall’altro si trattava di imporre con rigore il rispetto di tali misure, muovendosi in un contesto di totale incertezza, tra paure, percezioni diverse del rischio, credenze e approcci personali molto variegati rispetto al problema.
Cosa abbiamo imparato e cosa ci resta di questa esperienza è il tema di questo interessante approfondimento di Alessia Avietti* e Angela Maria Caddeo**
Introduzione
È ormai noto come il tema della prevenzione e della sicurezza sul lavoro abbia molto a che fare con l’approccio psicologico e l’atteggiamento individuale verso il rischio, certamente non disgiunti dalle misure organizzative, tecniche ed ergonomiche adottate da ciascuna organizzazione.
Non a caso, questi due aspetti, strettamente intrecciati, sono anche stati alla base delle scelte operate sia dalle organizzazioni sia dalle singole persone, nella propria sfera privata, per prevenire e gestire il rischio di contagio da Covid-19.
Guardando al mondo organizzativo, rileviamo infatti come, accanto all’adozione di misure strutturali e alla fornitura dei dispositivi di protezione individuale, vi sia la soggettiva aderenza alle prescrizioni e alle raccomandazioni da parte dei lavoratori quali la frequente igienizzazione delle mani o il mantenimento della distanza interpersonale minima di sicurezza, ad esempio lungo il tragitto casa–lavoro o alla macchinetta del caffè.