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Giovani che riescono ad avviare una startup solo fuori dall’Italia, ultimo rapporto OCSE sull’università, dirigenti donne nelle grandi imprese

Giovani che riescono ad avviare una startup solo fuori dall’Italia, ultimo rapporto OCSE sull’università, dirigenti donne nelle grandi imprese

Tra gli ultimi articoli selezionati, molti riguardano i giovani, lo stato delle università italiane, le donne in posizioni apicali nelle organizzazioni e l’evoluzione delle imprese sociali in seguito alla recente riforma del terzo settore. Eccone alcuni.

E. Murgese (2017). “In Italia non c’è voglia di rischiare. Qui a Berlino mi hanno dato 500mila euro per la mia app”. Il Fatto Quotidiano

Avere 23 anni e tra le mani una startup valutata da un finanziatore tedesco mezzo milione di euro. In due settimane, chiudere la propria vita in provincia di Padova e ritrovarsi a cercare casa a Berlino, con la consapevolezza di “avere provato in tutti i modi a rimanere in Italia” ma che nel proprio Paese quello stesso progetto non era mai riuscito a diventare un lavoro.
Questa è la storia di Gianluca Segato, fondatore di Uniwhere, un’app che consente agli studenti universitari di gestire la propria carriera accademica suggerendo i futuri passi nei loro studi, fornendo un calendario per pianificare le lezioni e bot intelligenti per rispondere alle domande degli studenti … Leggi

S. Intravaia (2017). Ocse: Italia in fondo per numero di laureati, troppi titoli umanistici. la Repubblica

Troppi laureati in materie letterarie, ma pochi in totale nel nostro Paese. Arriva la bocciatura dell’Ocse sull’orientamento scolastico e universitario. A mettere a nudo le debolezze italiane è “Education at a glance 2017”, l’annuale report sull’educazione nei Paesi a economia avanzate, una delle più autorevoli pubblicazioni sul tema dell’istruzione. “Personalmente – spiega Francesco Avvisati, tecnico dell’Ocse e autore, insieme a Giovanni Maria Semeraro, della nota che riguarda l’Italia – non direi mai che ci sono troppi laureati: la cultura non è mai troppa. Ci sono troppi laureati in Lettere e faticano a trovare un impiego che corrisponda alle loro qualifiche. D’altro canto, nel sistema universitario non trovano passerelle per ri-orientarsi verso discipline dove gli sbocchi occupazionali sono migliori” … Leggi

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Competenze digitali: servono o no?

La competenza digitale – usata anche al plurale, in quanto fa riferimento a diverse capacità/abilità – costituisce una delle 8 competenze chiave per il lifelong learning dell’UE e può essere definita come l’uso sicuro, critico e creativo delle ICT, al fine di raggiungere obiettivi relativi a lavoro, occupabilità, apprendimento, svago, inclusione e partecipazione attiva alla società.

Secondo una recente ricerca pubblicata su AgendaDigitale
le persone che possiedono competenze digitali di base o superiori in Italia sono il 46,5%, chi non è mai andato su Internet il 31,5%, e gli utenti “frequenti” di Internet sono il 58,5%.
Circa il 40% degli italiani non possiede un computer e non sa né mandare una e-mail, né pagare un bollettino on line, mentre le percentuali di “analfabetismo digitale” si concentrano in alcune regioni del Sud.

Alle competenze digitali è dedicata una sezione del Rapporto Unioncamere 2015.

In ambito aziendale, secondo il rapporto Unioncamere, il 40 % delle imprese italiane, incluse le micro imprese familiari, non ritiene il digitale utile per il suo business.

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Imprenditoria giovanile: politiche attive e buone pratiche

Come evidenziato in un post precedente, negli ultimi anni l’UE sta focalizzando l’attenzione sulle politiche per l’occupazione dei giovani, investendo in alcune iniziative strategiche, come per esempio Garanzia Giovani.
Alcuni studi, che descrivono e comparano la situazione delle politiche attive per il lavoro giovanile dei vari Paesi, consentono un primo bilancio e alcune riflessioni sulle future direzioni da prendere.

Tra questi, il recente report “Youth entrepreneurship in Europe: Values, attitudes, policies” della fondazione Eurofound, analizza i fattori individuali e sociali che incidono sulla scelta imprenditoriale e le politiche attive per il lavoro giovanile, che costituiscono buone pratiche da esportare e diffondere.

Di seguito una sintesi dei principali dati del report.

La scelta imprenditoriale

Il 6,5% dei giovani (di età compresa tra i 19 e i 29 anni) sceglie la carriera imprenditoriale, ma esistono notevoli differenze tra i Paesi membri dell’UE: ad esempio in Italia e Grecia il tasso è del 15% mentre in Germania e Danimarca è del 3%. Questi dati riflettono differenze nazionali significative in termini sia di barriere/opportunità nell’avvio di nuove imprese, sia nelle diverse condizioni del mercato del lavoro.

La libera professione riguarda prevalentemente gli uomini: nel 2013 nell’UE a 28 solo il 33% di lavoro autonomo era svolto da giovani donne.

Inoltre, esiste una sovrastima di lavoratori autonomi in alcuni settori, come quello delle costruzioni, dove il problema delle false partite IVA è particolarmente evidente.

La scelta di svolgere un lavoro autonomo è complessa e deriva da micro e macro fattori, tra cui gli atteggiamenti individuali e sociali, che determinano la percezione e la fattibilità della carriera imprenditoriale.

A dispetto delle basse percentuali di scelta effettiva, il 48% dei giovani europei trova la scelta imprenditoriale desiderabile e il 41% la ritiene fattibile.
Però, queste percentuali sulla desiderabilità e sulla fattibilità risultano inferiori rispetto a quelle dei giovani americani o dei Paesi emergenti come Brasile, Cina e India.

Dall’Analisi delle caratteristiche personali, coerentemente con la letteratura, emerge come la personalità imprenditoriale prediliga alcuni valori, che incidono sui comportamenti sociali. Nello specifico:

  • l’autoimpiego è associato positivamente a elementi quali l’autodirezione e la stimolazione, negativamente a tradizione, conformismo e sicurezza. Questo lascia supporre che per i giovani lavoratori autonomi sia importante essere liberi e creativi, provare esperienze diverse nella vita e assumersi dei rischi;
  • la tendenza al cambiamento sembra un comportamento distintivo degli autonomi, mentre la conformità è chiaramente associata con i lavoratori dipendenti.

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Istituti Tecnici Superiori: un passo verso la formazione professionale di qualità?

Il D.P.C.M. del 25 gennaio 2008 ha stabilito che le Regioni devono adottare un Piano Territoriale triennale, in cui sia prevista la programmazione dei corsi IFTS da 800/1000 ore e l’istituzione di Istituti tecnici Superiori (I.T.S.) con la relativa offerta formativa (corsi da 1800/2000 ore).
Gli I.T.S. sono “scuole speciali di tecnologia” che costituiscono un canale formativo di livello postsecondario, parallelo ai percorsi accademici. Formano tecnici superiori nelle aree tecnologiche strategiche per lo sviluppo economico e la competitività e si costituiscono secondo la forma della Fondazione di partecipazione, che comprende scuole, enti di formazione, imprese, enti locali, università e centri di ricerca.
Le Aree Tecnologiche degli I.T.S. sono 6:

  • efficienza energetica
  • mobilità sostenibile
  • nuove tecnologie della vita
  • nuove tecnologie per il Made in Italy
  • tecnologie innovative per i beni e le attività culturali e il turismo
  • Tecnologie dell’informazione e della comunicazione

Situazione attuale

Finora sono stati attivati 74 I.T.S. in tutta Italia: tra le Regioni spiccano Emilia Romagna, Lombardia e Lazio con 7 I.T.S. per ciascuna, agli ultimi posti si trovano Sardegna, Umbria e Molise con un I.T.S. per ciascuna.

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