Secondo il recente report Industrial relations in europe 2014 della Commissione Europea, il dialogo sociale si riferisce a discussioni, consultazioni , negoziazioni e azioni comuni che coinvolgono le organizzazioni che rappresentano le parti sociali (datori di lavoro e lavoratori) . Può assumere due forme principali:
- tripartito, quando coinvolge le autorità pubbliche;
- bilaterale, tra datori di lavoro e organizzazioni sindacali, che ha luogo a livello interprofessionale e in seno ai comitati di dialogo sociale di settore.
Le tendenze nelle relazioni industriali, a livello europeo, indicano:
- una diminuzione lenta ma costante della negoziazione delle retribuzioni dei lavoratori nei contratti collettivi nazionali;
- il decentramento delle strutture di contrattazione, dalle trattative nazionali o settoriali e molteplici datori di lavoro a singole imprese o luoghi di lavoro.
Tali trend vanno collegati a cambiamenti di lungo periodo, come il ruolo assunto dai territori.
La rivalutazione del territorio
Nello studio di Rullani, contenuto nel volume Crescita, investimenti e territorio: il ruolo delle politiche industriali e regionali del 2014, viene sottolineato come il territorio sia stato rivalutato con la crisi del modello fordista, secondo cui era il territorio ad adeguarsi alle sue esigenze.
Col tempo gli Stati nazionali hanno perso terreno e sono invece emerse come realtà dinamiche e autonome le società locali, che hanno così dato luogo a un processo di frammentazione dei poteri generali di coordinamento e regolazione
Dal 2000 in poi, il ruolo del territorio nello sviluppo è cambiato radicalmente per due ragioni di fondo:
- per effetto della rivoluzione ICT e dell’apertura dei mercati mondiali (dopo la caduta del muro di Berlino, 1989), una parte sempre più grande della conoscenza impiegata nella produzione ha cominciato a essere trasferita in modo massiccio nei Paesi dotati di maggiori capacità di attrazione, per il lavoro a basso costo, minori regole e imposte, oppure per le capacità di innovazione, relazione o domanda migliori che altrove;
- nei Paesi che hanno saputo trasferire e replicare nel mondo i loro modelli di prodotto e/o di servizi, oppure che sono stati colpiti marginalmente dalle delocalizzazioni, il fulcro dell’economia è rimasto ancorato alla conoscenza generativa, che si è creata negli specifici territori.
Il sistema italiano, caratterizzato prevalentemente da piccole e medie imprese, ha potuto modernizzare la produzione e i prodotti solo grazie ad una capillare produzione in rete. cioè alle filiere che hanno tenuto insieme centinaia di piccolissimi produttori, ognuno dei quali ha apportato il suo contributo al prodotto finale.
Si è trattato, salvo alcune eccezioni (consorzi, cooperative, ATI), di reti informali, basate su un rapporto di stabile collaborazione e divisione del lavoro tra imprese, che si legano attraverso rapporti interpersonali diretti, contrattualmente poco impegnativi ma ricorsivi e fiduciari.
Oggi queste reti appaiono in crisi: riescono con difficoltà a innovare i loro prodotti o a proiettare ponti di qualche rilevanza verso fornitori, committenti e consumatori finali che stanno nelle filiere globali; stentano anche ad alimentare idee motrici che non siano quelle ereditate dalla storia.
Il quadro di framentarietà e dispersione risulta anche dallultimo rapporto di SecondoWelfare, che, tra i vari temi, si è occupato delle reti di imprese per la conciliazione e la bilateralità, nel territorio del Nord Italia.