Il mercato del lavoro attuale è caratterizzato da una grande incertezza, che per le piccole e medie imprese di nuova costituzione rappresenta un limite alla crescita e si traduce in un rallentamento della reddittività, come sottolineato anche nel Rapporto CERVED 2019.
Rispetto alle piccole imprese nate in altri tempi, le nuove piccole imprese si trovano in una posizione particolarmente precaria, in cui ruoli organizzativi e routine poco sviluppati, mancanza di relazioni di fiducia e clienti fidelizzati sono le cause primarie del fallimento.
Spesso la diversity e la CSR (Corporate Social Responnsibility) sono messe in relazione con l’innovazione (in particolare quella tecnologica sia di prodotto che di processo).
Non sempre, però, le aziende ottengono risultati soddisfacenti con l’implementazione di questo tipo di politiche.
In un recente studio Bocquet et al. (2019) provano a fare il punto su questa relazione, prendendo in esame un campione di 1348 piccole e medie imprese in Lussemburgo, i cui risultati possono essere utili anche per le PMI italiane.
Diversity e CSR
Nella rassegna stampa di oggi alcuni approfondimenti su: riduzione dell’orario lavorativo garantendo la stessa produttività e mantenendo invariati i i livelli salariali, la diffusione del volontariato di impresa, nuove possibilità di business per artigiani e piccole imprese, i problemi della leadership in azienda legati al cambiamento.
A. Alba (2018). Welfare, l’azienda che regala due ore e il week-end lungo: “Si chiude venerdì alle 14”. Corriere del Veneto
Lavorare meno ma garantire gli stessi risultati. Ed ottenere la stessa paga di prima. È l’equazione che, alla Salvagnini Italia di Sarego, i vertici aziendali da una parte e Fim Cisl, Fiom Cgil e Rsu dall’altra provano a far quadrare con un accordo integrativo contenente un’innovazione assoluta: in produzione e negli uffici si lavorerà 38 ore a settimana, con un salario di 40 ore retribuite. «La sperimentazione parte a settembre e se tutto va bene, come siamo certi, a gennaio entrerà in vigore per tutti i circa 750 dipendenti» … Leggi
G. Perrone (2018). Welfare aziendale, se il tempo libero vale più del denaro. Risorse Umane e non Umane
Da molti anni, ormai, siamo abituati a chiamarlo telelavoro, anche se più recentemente e in particolare con la sua regolamentazione avvenuta con la legge 81/2017, il lavoro agile (o smart working) presenta caratteristiche diverse rispetto al suo “antenato”. Due di queste ci sembrano particolarmente importanti: non si tratta di una misura ad hoc per esigenze di casi singoli (per esempio…
La rassegna stampa di oggi propone alcuni approfondimenti su: i buoni risultati con l’uso dell’intelligenza emotiva per il people management nelle PMI, la promozione della maternità in una piccola realtà del Friuli, un recente studio sul welfare aziendale. Presenta, inoltre, il caso Alcoa, nel quale i lavoratori entrano a far parte del CDA e una ricerca sui motivi dei, troppo spesso diffusi, bassi tassi di produttività tra i lavoratori
R. Silenti (2018). Intelligenza Emotiva nelle PMI: esempi pratici per un People Management emotivamente intelligente. Leadership & Management Magazine
Oggi, grazie ai progressi compiuti dalle neuroscienze e al crescente interesse per il lato “business” dell’Intelligenza Emotiva, si sono affinati gli strumenti teorici e pratici per lo sviluppo dell’IE (ad esempio Six Seconds®), sono aumentati i business case aziendali , ed è cresciuto il numero degli imprenditori, dei manager e dei Responsabili delle Risorse Umane delle PMI italiane che quotidianamente applicano l’Intelligenza Emotiva alla risoluzione dei problemi e dei conflitti più frequenti nell’ambito del People Management … Leggi
L. Goriup (2018). Sei incinta? Ti assumo: l’azienda triestina a misura di neomamme. Il Piccolo
Quando ho detto al mio capo che ero incinta, mi ha assunta a tempo indeterminato». È una storia decisamente atipica quella raccontata da Delia Barzotti, responsabile marketing della triestina Cpi-Eng srl di Christian Bracich. Subito dopo il parto Delia ha scelto di tornare al lavoro, anche grazie allo spazio di coworking dell’associazione Laby, dove c’è un’area bimbi con tanto di educatrice. Delia lavora lì con un contratto a tempo indeterminato da quando era in attesa della sua secondogenita Ludovica, che oggi ha quasi quattro mesi. Inutile anche volontariato e mi occupo di neomamme che subiscono mobbing in ufficio e affin” … Leggi
Nella rassegna stampa di oggi , alcuni approfondimenti su: cosa possiamo imparare dalla vicenda Cambridge Analytica, le competenze digitali più utili per fare business, le reti diPMI per attuare politiche di welfare aziendale, i permessi anche per i papà.
V. Spotti (2018). 3 cose che abbiamo imparato da Cambridge Analytica e Facebook. Tech Economy
Caro Alieno che ci guardi da un pianeta lontano lontano (e ogni tanto ti chiedi se è il caso di farci una telefonata), se ci hai osservato nell’ultima settimana ti sarai accorto che siamo stati tutti molto impegnati a preoccuparci per questa storia di Cambridge Analytica che avrebbe “preso” – anzi no “venduto” – i dati di più di 50 milioni di utenti Facebook con il risultato che adesso abbiamo Donald Trump dentro la Casa Bianca e il Regno Unito fuori dall’Europa. (Non è proprio così, ma te lo spiego dopo) … Leggi
F. Derchi, G. Xhaët (2018). Competenze digitali, quali servono al business: il framework. Agenda Digitale.
Nella rassegna di oggi, alcuni recenti approfondimenti su: sviluppo delle competenze digitali nelle PMI, welfare come politica di supporto al lavoro delle donne, professioni emergenti e molto richieste come l’innovation broker
A. Biffi (2018). Competenze Industry 4.0, così le pmi le adeguano al mercato. Agenda Digitale
L’attuale momento storico è particolarmente ricettivo per favorire lo sviluppo e l’aggiornamento delle competenze dei lavoratori. Competenze legate al 4.0 necessarie alle aziende per sostenere i processi di trasformazione digitale in atto nel sistema manifatturiero italiano. E questo non solo perché il Piano Nazionale Industria 4.0 identifica come direttrici chiave, da un lato, gli investimenti in innovazioni infrastrutturali e, dall’altro, lo sviluppo delle competenze ma anche in virtù di una presa di coscienza da parte delle imprese … Leggi
A. Keller (2018). Quando il welfare aziendale sostiene l’occupazione femminile. Percorsi di Secondo Welfare
Con il DECRETO LEGISLATIVO 30 dicembre 2016, n. 254, l’Italia ha recepito la direttiva europea 95/2014 secondo cui le imprese con almeno 500 dipendenti hanno l’obbligo di comunicare informazioni di carattere non finanziario e informazioni sulla diversità.
Più in dettaglio, il decreto prevede l’obbligo di inserire nella relazione sulla gestione una dichiarazione di carattere non finanziario contenente informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione. Tale dichiarazione deve riportare, tra l’altro, una breve descrizione del modello aziendale dell’impresa, delle politiche applicate dall’impresa su questi aspetti, il risultato di tali politiche, i principali rischi connessi a tali aspetti, gli indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario connessi all’attività specifica dell’impresa.
Nonostante alcune grandi società (multinazionali e non) abbiano da anni inserito la responsabilità sociale (RSI) come strategia aziendale, per la maggior parte delle imprese si tratta di una novità assoluta e in molti ritengono che questo apporterà delle modifiche anche a livello di imprese di piccole dimensioni.
La RSI nelle piccole imprese
Con il termine open innovation (innovazione aperta) Henry Chesbrough (docente alla Berkeley university), il primo a elaborarlo nel libro Open Innovation: the new imperative for creating and profiting from technology del 2003, intendeva il cambiamento di paradigma di innovazione di Ricerca e Sviluppo da parte delle imprese, da chiuso (o in-house) a un modello di innovazione aperta che combina idee interne ed esterne, conoscenze e tecnologie per creare e commercializzare nuovi prodotti e servizi.
In un recente articolo, apparso su OpenMind, lo stesso Chesbrough definisce l’open innovation come “l’uso intenzionale di flussi di conoscenza, in entrata e in uscita, per accelerare l’innovazione interna ed espandere i mercati per l’uso esterno di innovazione”. Dunque, secondo Chesbrough:
- l’innovazione aperta va ben oltre la semplice collaborazione tra due aziende;
- la progettazione e la gestione delle comunità dell’innovazione diventerà sempre più importante per lo sviluppo dell’innovazione aperta;
- l’efficacia dell’innovazione aperta non è limitata a poche società, ma riguarda l’uso più efficace delle conoscenze interne ed esterne in ogni tipo di organizzazione.
Il modello di open innovation
Secondo la definizione proposta da Missikoff
in un recente articolo pubblicato su Mondo Digitale, L’innovazione riguarda la capacità di concepire e applicare nuove soluzioni, per esempio di prodotto e/o di processo, in una realtà produttiva.
Questo comporta, di conseguenza, che l’innovazione non debba essere vista come un evento straordinario, da adottare per esempio nel caso di calo delle vendite, ma come un modello di business, da sviluppare continuamente.
Nel contesto italiano, l’innovazione riguarda, ovviamente, per lo più le piccole e medie imprese. L’autore individua diverse barriere che ne ostacolano l’adozione:
- la struttura industriale frammentata;
- una cultura tecnologica spesso inadeguata;
- le risorse finanziarie limitate e difficoltà di accesso al credito;
- la mancanza di un collegamento sistematico con altre realtà produttive , in particolare con le università, la Pubblica Amministrazione e i centri di ricerca.